29.6.11
ho'oponopono
27.6.11
a pagina 33
Voglio raccontarvi una storia molto antica su un uomo che non credeva nell’amore. Si trattava di un uomo comune, proprio come voi e me, ma ciò che lo rendeva speciale era il suo modo di pensare: era convinto che l’amore non esistesse.
Naturalmente l’aveva cercato a lungo, aveva osservato le persone intorno a sé, trascorrendo gran parte della vita in cerca d’amore, solo per scoprire che l’amore non esisteva. Dovunque andasse, diceva a tutti che l’amore è soltanto un’invenzione dei poeti e delle religioni, usata per manipolare la debole mente umana, per controllare le persone.
Diceva che l’amore non è reale e per questo è impossibile trovarlo quando lo si cerca. Era un uomo molto intelligente e riusciva ad essere convincente. Lesse una quantità di libri, frequentò le migliori università e diventò un rinomato studioso.
Poteva parlare dovunque, davanti a qualunque pubblico, e la sua logica era inoppugnabile. Diceva che l’amore è come una droga: ti fa sentire bene, ma crea dipendenza. E cosa succede se una persona diventa dipendente dall’amore e poi non riceve la sua dose quotidiana ? Quell’uomo diceva che la maggior parte dei rapporti d’amore è come il rapporto che c’è tra un tossicodipendente e il suo spacciatore. Quello dei due che ha il bisogno maggiore è il drogato, e l’altro assume il ruolo dello spacciatore. Quest’ultimo è quello che controlla il rapporto.
E’ una dinamica facilmente osservabile, perché in ogni relazione di solito c’è uno che ama di più e un altro che si limita a ricevere, ad approfittare di chi gli ha donato il cuore. E’ facile vedere come si manipolano a vicenda, tramite le loro azioni e reazioni, proprio come un drogato e uno spacciatore. Il tossicodipendente, quello che ha il bisogno maggiore, vive con il terrore costante di non ricevere la prossima dose d’amore.
Pensa: “Cosa farò se mi lascia?” E tale paura lo rende possessivo. Diventa geloso ed esigente. Lo spacciatore comunque può sempre manipolarlo, dandogli dosi maggiori o minori, oppure negandogliele del tutto. La persona con il bisogno maggiore si arrende ed accetta di fare qualunque cosa pur di non essere abbandonata.
L’uomo della nostra storia continuava a spiegare a tutti perché l’amore non esiste. “Ciò che gli uomini chiamano amore è solo una relazione basata sul controllo e sulla paura. Dov’è il rispetto ? Dov’è l’amore che dichiariamo di provare ? Non esiste.” Le giovani coppie davanti ad un simulacro di Dio, e davanti alle loro famiglie e agli amici, si scambiano una quantità di promesse: di vivere insieme per sempre, di amarsi e rispettarsi l’un l’altro, di restare uniti nella salute e nella malattia.
Promettono di amare e onorare l’altro. Promesse e ancora promesse. La cosa stupefacente è che credono davvero a ciò che promettono. Ma, dopo il matrimonio, dopo una settimana, un mese o alcuni mesi, le promesse vengono infrante una dopo l’altra. Scoppia una guerra di potere, di manipolazione per stabilire chi è il drogato e chi lo spacciatore. Pochi mesi dopo le nozze, il rispetto che avevano giurato di mantenere l’uno per l’altra è scomparso. Resta il risentimento, il veleno, il modo in cui si fanno male a vicenda, finchè ad un certo punto, senza che se ne rendano conto, l’amore finisce.
I due restano insieme perché hanno paura di restare soli, temono i giudizi degli altri e anche i propri. Ma dov’è l’amore? Quell’uomo sosteneva di conoscere molte coppie anziane che avevano vissuto insieme per trenta o quarant’anni, e ne erano molto fiere. Ma quando parlavano del loro rapporto, dicevano:”Siamo sopravvissuti al matrimonio”. Ciò significava che uno dei due ad un certo punto si era arreso all’altro. La persona con la volontà più forte aveva vinto la guerra. Ma dov’era la fiamma che chiamavano amore ? Si trattavano come una proprietà l’uno dell’altro. “Lui è mio”. “Lei è mia”.
L’uomo spiegava senza fine tutte le ragioni per cui non credeva nell’esistenza dell’amore, e diceva: “Io ho già vissuto situazioni del genere e non permetterò più a nessuno di manipolare la mia mente, di controllare la mia vita, in nome dell’amore.” Le sue argomentazioni erano logiche e convincevano molte persone." L’amore non esiste.
Poi un giorno, mentre quell’uomo camminava in un parco, vide una bella donna in lacrime, seduta su una panchina. S’incuriosì e, avvicinatosi, le chiese se potesse aiutarla. Potete immaginare la sua sorpresa quando lei rispose che piangeva perché aveva scoperto che l’amore non esiste. L’uomo disse: “Stupefacente. Una donna che non crede all’esistenza dell’amore.” Naturalmente volle subito sapere qualcosa di più.
“Perché dici che l’amore non esiste?” chiese. "E’ una lunga storia" rispose lei. “Mi sono sposata molto giovane, piena di amore e di illusioni. Credevo che avrei condiviso tutta la vita con mio marito. Ci giurammo reciprocamente fedeltà e rispetto, e creammo una famiglia. Ma presto tutto cambiò. Io ero la moglie devota che si occupava della casa e dei bambini. Mio marito continuò a seguire la sua carriera. Il suo successo e la sua immagine esteriore, erano più importanti della famiglia. Smise di rispettarmi, e io smisi di rispettare lui. Ci facevamo del male a vicenda e un giorno scoprii che non lo amavo più e che neppure lui mi amava.
“Ma i bambini avevano bisogno di un padre e quella fu la scusa che adottai per non lasciarlo, facendo anzi di tutto per sostenerlo. Ora i bambini sono diventati adulti e se ne sono andati. Non ho più scuse per restare con lui. Tra noi non c’è rispetto, né gentilezza. So che anche se trovassi un altro sarebbe la stessa cosa, perché l’amore non esiste. Non ha senso cercare ciò che non esiste e per questo piango.”
L’uomo la comprendeva benissimo. L’abbracciò e disse: ”Hai ragione, l’amore non esiste. Lo cerchiamo, apriamo il nostro cuore, ci rendiamo vulnerabili e troviamo solo egoismo. Questo ci fa del male anche quando pensiamo di essere usciti indenni. Non importa quante volte ci proviamo, accade sempre la stessa cosa. Perché allora continuare a cercare l’amore?”
Erano così simili che diventarono grandi amici. Il loro era un rapporto meraviglioso. Si rispettavano e nessuno dei due cercava di prevalere sull’altro. Ogni passo che facevano insieme li rendeva felici. Tra loro non c’era invidia né gelosia, non c’era controllo né possesso. La relazione continuava a crescere. Amavano stare insieme, perché si divertivano molto. Quando erano soli ciascuno sentiva la mancanza dell’altro.
Un giorno, mentre l’uomo era fuori città, gli venne un’idea assurda. “Forse ciò che sento per lei è amore”, pensò. “Ma è così diverso da ciò che ho provato in passato. Non è ciò che dicono i poeti o la religione, perché io non mi sento responsabile per lei. Non le chiedo nulla, non ho bisogno che si occupi di me. Non sento la necessità d’incolparla dei miei problemi. Insieme stiamo bene e ci divertiamo. Io rispetto il suo modo di pensare e lei non mi mette mai in imbarazzo Non mi sento geloso quando è con altri e non invidio i suoi successi. Forse l’amore esiste davvero, alla fine, ma non è ciò che tutti credono che sia.”
Non vedeva l’ora di tornare a casa e parlare con la donna, per raccontarle dei suoi strani pensieri. Appena cominciarono a parlare lei disse: “So esattamente a cosa ti riferisci. Io ho avuto la stessa idea tempo fa, ma non volevo parlartene perché so che non credi nell’amore. Forse dopotutto l’amore esiste, ma non è ciò che pensavamo che fosse.”
I due decisero di diventare amanti e di vivere insieme, e sorprendentemente le cose tra di loro non cambiarono. Continuavano a rispettarsi e a sostenersi, e l’amore cresceva sempre di più. Anche le cose più semplici davano loro gioia, perché si amavano ed erano felici.
Il cuore dell’uomo era così pieno d’amore che una notte accadde un grande miracolo. Era intento a guardare le stelle, e ne vide una bellissima. Il suo amore era così forte che la stella scese dal cielo e finì nelle sue mani. Quindi accadde un altro miracolo e la sua anima si fuse con la stella.
La sua felicità era intensa, e andò subito dalla donna per mettere la stella nelle sue mani. Non appena lo fece, lei ebbe un momento di dubbio: quell’amore era troppo forte. Non appena quel pensiero le attraversò la mente, la stella le cadde di mano e si ruppe in un milione di pezzi.
Ora c’è un vecchio che gira per il mondo giurando che l’amore non esiste. E in una casa c’è una donna anziana che aspetta un uomo, versando lacrime amare per il paradiso che aveva tenuto tra le mani, perdendolo in un momento di dubbio.
Questa è la storia dell’uomo che non credeva nell’amore. Di chi fu l’errore? Cosa non funzionò? Fu l’uomo a sbagliare, pensando di poter dare alla donna la sua felicità. La sua felicità era la stella e l’errore fu quello di mettere la stella nelle mani della donna.
La felicità non viene mai dal di fuori. L’UOMO ERA FELICE PER TUTTO L’AMORE CHE PROVENIVA DA SE STESSO. LA DONNA ERA FELICE PER TUTTO L’AMORE CHE PROVENIVA DA LEI.
Ma appena lui la rese responsabile della propria felicità, lei ruppe la stella, perché non poteva farsi carico della felicità di un altro essere. Indipendentemente da quanto lo amasse, non avrebbe potuto renderlo felice, perché non poteva sapere ciò che lui aveva in mente, non poteva conoscere le sue aspettative, i suoi sogni.
Se prendete la vostra felicità e la mettete nelle mani di un’altra persona, prima o poi quella persona la distruggerà. Se la felicità invece vive dentro di voi, siete voi ad esserne responsabili. Non possiamo rendere nessuno responsabile della nostra felicità, ma quando andiamo in chiesa e ci sposiamo, la prima cosa che facciamo è quella di scambiarci gli anelli.
Mettiamo la nostra stella nelle mani dell’altro, sperando che ci renda felice e che noi renderemo felice lui, o lei. Ma indipendentemente da quanto amate un’altra persona, non sarete mai ciò che quella persona vuole che siate. Questo è l’errore che quasi tutti facciamo fin dall’inizio. Basiamo la nostra felicità sul partner.
Trovate la vostra stella e tenetela nel cuore. Sarà la sua luce a trasmettere l’amore.
25.6.11
Non si dà amore senza possibilità di tradimento così come non si dà tradimento se non all’interno di un rapporto d’amore. A tradire infatti non sono i nemici e tantomeno gli estranei, ma i padri, le madri, i figli, i fratelli, gli amanti, le mogli, i mariti, gli amici. Solo loro possono tradire perché su di loro un giorno abbiamo investito il nostro amore. Il tradimento appartiene all’amore come il giorno alla notte.
Nel suo saggio su Il tradimento che è possibile leggere in Puer Aeternus (Adelphi) James Hillman prende in esame le possibili reazioni al tradimento, indicando tra queste: quelle che bloccano la coscienza e quelle che la emancipano. Innanzitutto la “vendetta” che è una risposta emotiva che salda il conto ma non emancipa la coscienza perché quando è immediata non ha altro significato se non quello di scaricare una tensione, mentre quando è procrastinata, quando attende l’occasione buona, restringe la coscienza in fantasie di astiosità e crudeltà impedendole di far qualsiasi altra esperienza. La vendetta rattrappisce l’anima. Non diversamente opera il meccanismo della “negazione”. Quando in un rapporto uno dei due subisce una delusione, la tentazione è quella di negare il valore dell’altro prima idealizzato. Non si è voluto vedere l’ombra dell’altro quando si era innamorati, ora dopo il tradimento, si ricaccia l’altro per intero nella sua ombra. Due eccessi, dove prima l’amore cieco e poi il cieco odio dicono quanto infantile e primitiva è la nostra anima.
Più pericoloso è il “cinismo” che non solo nega il valore dell’altro, ma fa dire che l’amore è sempre una fregatura, che i grandi amori sono per gli ingenui, cercando in questo modo di cicatrizzare la fiducia infranta. Con i cocci dell’idealismo si costruisce la filosofia del rude cinismo capace solo di offrire un ghigno a quella che un tempo era la propria stella. Ma forse ancora più preoccupante del cinismo è il “tradimento di sé”, per cui una confessione, una poesia, una lettera d’amore, un progetto fantastico, un segreto, un sogno, insomma i nostri valori emotivi più profondi diventano cose ridicole, da sbeffeggiare sguaiatamente per evitare di vergognarsi di averle un giorno provate. E’ una strana esperienza quella di trovarsi a tradire se stessi e a trattare le proprie esperienze emotive vissute nel tempo dell’amore come esperienze negative e spregevoli.
Ma con la vendetta, la negazione, il cinismo, il tradimento di sé non siamo ancora all’ultimo stadio quando per proteggerci dall’eventualità di essere nuovamente traditi optiamo per la “scelta paranoide” che, per instaurare un rapporto esente dalla possibilità del tradimento, mette in atto quelle liturgie come le dichiarazioni di fedeltà eterna, le prove di devozione, i giuramenti di mantenere il segreto. Sono questi atteggiamenti che attengono non alla sfera dell’amore, ma alla sfera del potere. Quando infatti un marito, un amante, un discepolo o un amico si sforzano di soddisfare i requisiti di un rapporto paranoide, dando assicurazioni di fedeltà per cancellare la possibilità del tradimento, è garantito che si sta allontanando dall’amore, perché amore e tradimento attingono alla stessa fonte.
Se evitiamo di cadere nei pericoli fino qui descritti e quindi di rimanervi in essi sterilmente fissati, allora l’esperienza del tradimento può rivelare il suo aspetto più creativo ed evolutivo della coscienza, che, per Hillman, come del resto per la tradizione cristiana, trova la sua espressione nel “perdono” che, riconoscendo il tradimento e passando oltre, toglie all’amore il suo aspetto più infantile che è l’ingenuità e l’incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d’ombra.
Ma si può davvero perdonare, se è vero che l’io si mantiene vitale solo grazie al suo amor proprio, al suo orgoglio, al suo senso dell’onore? Anche quando vorremmo sinceramente perdonare, scopriamo che proprio non riusciamo perché il perdono non viene dall’io. E allora forse, meglio del perdono, che probabilmente è pratica insincera, a me sembra più costruttivo percorrere il sentiero del “reciproco riconoscimento”.
Siccome i due sono ancora legati in un rapporto dei nuovi ruoli di traditore e di tradito, i due possono soccorrersi solo se il traditore non attenua la crudeltà del tradimento e, riconoscendolo senza ammorbidirlo con false giustificazioni, consente all’altro di trovare da sé la spiegazione, e così di passare dalla beata innocenza della fiducia originaria, dove mai neanche lontanamente si profilava il male, a quella coscienza adulta che sa che, ogni volta che siamo in relazione con l’altro, mettiamo in atto anche il nostro desiderio di non annullarci nell’altro.
Vogliamo essere con l’altro, ma nello stesso tempo, per salvare la nostra individualità, vogliamo non esserci completamente. Di qui quell’esserci e non esserci, quel rincorrersi e tradire, che fa parte della relazione amorosa. Perché l’amore è una “relazione”, non una fusione. Se infatti non esistessimo come individualità autonome, non solo non potremmo incontrare l’altro e metterci in relazione, ma non avremmo neppure nulla da raccontare all’altro fuso simbioticamente con noi.
Come dice Gabriela Turnaturi nel suo bel libro Tradimenti (Feltrinelli) quando lei o lui iniziano un viaggio fuori dal “noi” che non emancipa, non consente né crescite né arricchimenti e neppure parole da scambiare che non siano già dette o già sapute prima che siano pronunciate. Amore è un gioco di forze dove si decide a quale dio offrire la propria vita: al dio della felicità che sempre accompagna la realizzazione di sé, o al dio della sicurezza che molto spesso si affianca alla negazione di sé.
Il traditore di solito queste cose le sa, meno del tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quel tradimento di sé che è la svalutazione di sé stesso per non essere più amato dall’altro, senza così accorgersi che allora, nel tempo dell’amore, la sua identità era solo un dono dell’altro. Tradendolo, l’altro lo consegna a sé stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare sé stesso.
Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce di più chi ha incontrato sé stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un’arca protetta, dove il camuffamento dei nomi fa chiamare amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare sé stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati.
Nel viaggio che si intraprende fuori dal “noi” e che prescinde dal “noi”, è il “noi” che si tradisce, mai il “tu” Quel che si imputa al traditore è di essere diventato diverso e di muoversi non più in sintonia, ma da solo. Soltanto se si accetta il cambiamento dell’altro e lo si accoglie come una sfida a ridefinirsi e a ridefinire la relazione. Il tradimento non è più percepito come tradimento. Ma ridefinirsi è difficile così come accettare il cambiamento. Per questo le vie più battute sono quelle della fedeltà, o in alternativa quelle del risentimento e della vendetta.
Se queste considerazioni hanno una loro plausibilità occorre riscattare, almeno in parte, i traditori dall’infamia di cui solitamente sono ricoperti, perché in ogni tradimento c’è un lampeggiare di verità e autenticità che chi è tradito non vuol mai vedere. Tradire un amore, tradire un amico, tradire un’idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa svincolarsi da un’appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi in un certo senso più autentica e vera. Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami ma possiamo crescere e diventar noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: “non sono come tu mi vuoi”
C’è infatti in ogni amore, da quello dei genitori a quello dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all’interno di quel recinto che è l’amore che non dobbiamo tradire. Ma in ogni amore che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c’è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d’ombra.
Eppure senza profilo d’ombra, quella che puerilmente chiamiamo amore, c’è l’incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero addio. E in ogni addio c’è lo stigma del tradimento e insieme dell’emancipazione . C’è il lato oscuro dell’amore che però è anche ciò che gli conferisce il suo significato e che lo rende possibile.
Amore e tradimento devono infatti l’un l’altro la densità del loro essere che emancipa non solo il traditore ma anche il tradito, risvegliando l’un l’altro dal loro sonno e dalla loro pigrizia emancipativi impropriamente scambiata per amore. Gioco di prestigio di parole per confondere le carte e barare al gioco della vita.
Umberto Galimberti, "La Repubblica" del 27/08/2003
24.6.11
dal dizionario
stato di grazia
- Fig.: stato di benessere, gioia, felicità, o semplicemente buonumore.
Espressione di armonia, semplicità, eleganza, naturale o acquisita: la g. di un fiore, di un volto, di un gesto; la g. di un verso poetico, di un dipinto, di un brano musicale
buon compleanno
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15.6.11
14.6.11
13.6.11
12.6.11
tao te ching
11.6.11
la personalità
“Dovremmo stare attenti a non
fare dell’intelletto il nostro dio;
ha sicuramente muscoli poderosi, ma non ha
personalità. Non può condurre, può solo servire.”
Albert Einstein
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